Selezione dei canti popolari di guerra

Un canto è ritmato dall'espressione "Ta-pum", in questo suono onomatopeico è presente un presagio di morte. Questo canto è nato in trincea durante la guerra 1915-18, pare sulla melodia di un canto di minatori nato durante lo scavo del S. Gottardo. Si risale in tanti l'Ortigara, ma quando si discende a valle dopo l'assalto, non c'è quasi più nessuno. Verso il piano, un cimitero militare: vi dormono i soldati caduti. Forse un giorno chi è scampato porterà un fiore.

Un'altra melodia della prima guerra mondiale che qui ricordiamo è: "Sui monti scarpazi". Nel 1917, i nostri giovanissimi alpini del Trentino dovettero combattere sui monti Carpazi in Romania per l'imperatore d'Austria, poichè la loro terra era ancora irredenta. Da quella disastrosa esperienza tornarono pochissimi e portarono come unica ricchezza questo tristissimo canto, che rappresenta la crudeltà dei conflitti nel vissuto delle donne rimaste a casa: un modo di soffrire altrettanto drammatico degli uomini al fronte. Una sposa, finita la guerra, va a cercare il suo uomo su quelle aspre montagne delle quali deforma il nome in Scarpazi e trova solo una squallida tomba, dove lei stessa vorrebbe essere sepolta con quella gioventù che la "maledetta guerra" le ha rubato.

Tra i canti degli Alpini: "Sul ponte di Bassano", è uno dei più conosciuti e classici. Anche questo nato in trincea, sempre durante la prima guerra mondiale, fu la sigla del 6° Reggimento Alpini. Costituito da 3 strofe, arricchite in seguito di altre due, è diventato il simbolo del soldato ora scanzonato, ora triste, che va al suo destino dando l'addio al suo più recente amore.

Quando gli alpini furono avviati ad Asiago, verso la frontiera, per affrontare il nemico, cantavano: "Gran Dio del cielo", vecchia melodia della filanda, forse addirittura di origine tedesca risalente al '700, a cui l'estro poetico, sempre vivo tra i nostri montanari, adattò le parole che venivano dalla loro consapevole accettazione del pericolo e del sacrificio. Pensano gli alpini:" Tu, bella, vattene alla fontana, custodisci la mia casa; io cammino incontro alla morte, perchè il nemico non la profani".

La seconda guerra mondiale ha rimesso in auge, con parole di una potenza evocativa non comune, un canto della guerra '15-'18: "Sul ponte di Perati", nato, per altro, con l'istituzione del corpo degli alpini avvenuta nel 1872. Tra le gole infide dei monti di Grecia e Albania, nel sudario gelido delle steppe di Russia, il canto esce malinconico dal cuore dei nostri soldati. Nel 1940-41 gli alpini sono in Grecia a combattere sulle rive della Vojussa. Si tratta di disputare il piazzamento sul ponte di Bratij. La posizione è conquistata, ma le acque del fiume sono rosse. Il tricolore sventola il lutto per piangere sui ragazzi caduti.

"Eravamo 29" ha solo tre strofe, ma le parole di questo canto colpiscono subito. Quando verso le 6 l'alba spunta, la nostra artiglieria comincia a bombardare, erano in 29 e sono rimasti in 7, maledicono il Trentino e la Val Sugana perchè "un macello di carne umana addirittura diventò".

Melodia altrettanto cruda: "O Gorizia tu sei maledetta". Bastano pochi mesi di interrotti combattimenti e già la guerra si mostra all'umile soldato come un giocattolo infernale nelle mani di pochi malvagi, i quali, al riparo da ogni temperie, reggono le sorti dell'umanità, condannando milioni di innocenti alla carneficina. Questo canto dichiara coscienza antimilitarista e anticapitalista, rievocando uno specifico evento bellico: l'offensiva diretta da Cadorna, detta: Sesta battaglia dell'Isonzo (6-8 agosto del 1916), con la quale l'esercito italiano riuscì a conquistare la testa di ponte di Gorizia, la città e l'altopiano carsico sin oltre il Vallone.

"Il testamento del capitano" è un canto di 400 anni fa che alcuni fanno derivare addirittura da antichi racconti dei trovatori del 1200. E' storia, è racconto epico che raggiunge accenti veramente lirici, sia per la poesia contenuta, sia per la melodia solenne e grave che l'accompagna.

Nel 1528 Michele Antonio, marchese di Saluzzo, a servizio dei francesi nel regno di Napoli, viene ferito a morte sotto le mura di Aversa. Forse uno dei suoi soldati, certo un poeta, ne raccoglie le ultime volontà e l'ultimo anelito: così arriva a noi questo canto sopravvissuto per la sua forza e la sua bellezza.

Nigra tramanda alcune versioni piemontesi di questo canto verso il 1858. Nel testo vengono esaltati i valori della patria, l'affetto per i commilitoni del battaglione, l'amore per la madre e la fidanzata ed infine la speranza che le montagne fioriscano sempre di rose e di fiori.

  

 

Testi delle canzoni